Premesso che:
i disturbi della nutrizione e dell'alimentazione sono divenuti nel corso degli ultimi decenni tra i più comuni problemi di salute, soprattutto nei giovani e negli adolescenti. Si tratta di disturbi che colpiscono la popolazione alle età più disparate, dall'infanzia all'età adulta, con un picco di esordio in età adolescenziale e possono colpire la popolazione femminile, così come quella maschile;
secondo l'ultimo rapporto Eurispes in Italia, oltre 2 milioni di ragazzi tra i 12 e i 25 anni soffrono di disturbi del comportamento alimentare (DCA) e, secondo i dati della Società italiana dei disturbi del comportamento alimentare (SISDCA), ogni anno ci sono 8.500 nuovi casi di persone, tra uomini e donne, colpite da questi disturbi. Tali dati allarmanti hanno sollecitato la ricerca a studiare metodi di intervento sempre più adeguati e rispondenti alle richieste;
il sopraggiungere dell'emergenza sanitaria da COVID-19 e le conseguenti restrizioni imposte dal Governo hanno avuto degli effetti importanti sulla salute mentale, così come riporta Brooks &Co nella ricerca sull'impatto psicologico della quarantena, e i disturbi del comportamento alimentare rientrano tra i fattori di rischio, in quanto le persone affette sono state costrette alla sospensione dei trattamenti psicologici e comportamentali;
il fattore dell'isolamento sociale, una delle prime manifestazioni di questa tipologia di patologia, nel periodo di quarantena ha inciso dunque negativamente su chi soffre di questi disturbi, prospettando un ritiro dai trattamenti anche successivo alla pandemia;
al fine di gestire e prevenire quadri clinici disastrosi, per tutta la popolazione italiana sono stati istituiti numeri di emergenza ai quali riferirsi in caso di crisi, e diverse associazioni del privato sociale, associazioni di professionisti e piccole realtà locali hanno messo a disposizione forze di volontari e specialistiche per la gestione dei casi sul territorio. Tali pazienti rientrano tra coloro i quali subiscono maggiori rischi a causa della difficoltà nel chiedere aiuto e nel riconoscere i segnali prodromici rispetto ai comportamenti di buona prassi;
nell'ultimo aggiornamento dei LEA vi è un paragrafo dedicato all'assistenza specifica a particolari categorie, ma i DCA non sono presenti, perché ricompresi nella categoria della salute mentale;
il sito del Ministero della salute ha recentemente pubblicato il rapporto SISM 2018 sui numeri dati rispetto alle persone con diagnosi psichiatriche e sui giorni di residenza nelle strutture dedicate e dal rapporto emerge la completa assenza dei dati relativi alle persone affette da DCA. Nell'attività dei servizi psichiatrici infatti viene segnalata la durata di giornate medie presso strutture residenziali per paziente, pari a 936,5 giorni, mentre nella realtà delle persone affette da DCA, che ha la "fortuna" di accedere alle cure, nelle poche strutture residenziali dedicate, tralasciando le interminabili liste d'attesa, la durata media del ricovero non supera i 90 giorni. Infine, per quello che riguarda gli accessi psichiatrici in pronto soccorso, il rapporto indica che oltre il 74 per cento degli accessi viene poi curato a casa, mentre per i DCA il Ministero stesso ha emanato delle mere raccomandazioni a tutti i punti di pronto soccorso, denominandole "codice lilla" o "percorso lilla", fatto solo di condizionali, ma che dovrebbe implicare, oltre al riconoscimento, la presa in carico con percorsi di cura dedicati;
è evidente il paradosso per cui una patologia con numeri enormi, in costante crescita sia in malati che in mortalità, con una grave carenza o assenza di percorsi di cura dedicati, non venga considerata, non solo come emergenza socio-sanitaria tanto da essere scorporata dalla macro area della salute mentale, ma nemmeno evidenziata nei rapporti annuali ufficiali e pubblici del Ministero;
viene dunque da ipotizzare che ancora per i livelli essenziali di assistenza venga adottato lo stesso criterio d'invisibilità che si riscontra, purtroppo, ogni qualvolta non viene data risposta alle richieste di cura,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di quanto esposto e quali siano le motivazioni per le quali i disturbi del comportamento alimentare non siano stati presi in considerazione nell'analisi dei dati;
se non ritenga opportuno inserire i DCA all'interno dei livelli essenziali di assistenza come una patologia indipendente, atteso che i numeri di casi in aumento ogni anno in Italia superano molte altre patologie presenti e indipendenti.
in Calabria nelle ultime ore si è registrato un forte e preoccupante inasprimento dei dati relativi a contagi, ricoveri e morti causate da COVID-19;
la celerità, infatti, con la quale si stanno riconvertendo interi reparti in terapia intensiva delle diverse strutture sanitarie dislocate sul territorio rischia non solo di non essere sufficiente a coprire la crescente quantità di malati gravi che hanno bisogno di essere ricoverati, ma anche di mettere a repentaglio la possibilità di garantire le rapide ed adeguate cure per tutti quei pazienti non affetti da COVID-19 che tuttavia necessitano di essere correttamente assistiti;
da quanto si apprende, e nonostante la regione sia da pochissimo tornata ad essere "zona arancione", il quadro epidemiologico e sanitario calabrese versa in condizioni molto serie: in data 11 aprile 2021, infatti, è stata raggiunta la soglia del 50 per cento dei posti letto occupati, con un dato complessivo che ha visto superare i 510 ricoveri (incluse le intensive), nonché i 900 morti da inizio pandemia, con quasi 600 nuovi positivi al virus accertati;
come evidenziato dalle recenti notizie pubblicate anche dalla stampa locale, è soprattutto la provincia di Cosenza il territorio maggiormente colpito da questa preoccupante escalation: un numero di nuovi positivi che ha superato, con riferimento alla data sopra indicata, le 320 unità, con 6.317 casi positivi attivi e ben 4 decessi registrati nelle ultime 24 ore;
considerato che:
la sanità calabrese, che negli ultimi anni ha risentito fortemente del susseguirsi di episodi di cattiva gestione che hanno determinato, tra l'altro, plurimi interventi legislativi volti a far fronte proprio a tali criticità, da tempo rischia un collasso drammatico a causa di molti fattori, quali la carenza di posti letto di terapia intensiva, la vetustà delle strutture, la penuria di personale sanitario e un inefficiente impiego delle risorse;
il piano vaccinale, nondimeno, stenta a decollare su tutto il territorio nazionale: la Calabria, per di più, è una delle regioni con la percentuale minore di dosi vaccinali somministrate in rapporto alla popolazione (17,75 per cento), e con un valore assoluto di somministrazioni che si attesta poco sopra alle 341.000 unità;
i sindaci della regione si stanno alacremente attivando al fine di confrontarsi sull'inasprimento del quadro epidemiologico e sulle necessarie iniziative istituzionali che occorre mettere in campo e coordinare fra le differenti autorità;
non da ultimo, alcuni medici hanno espresso il proprio appello ad imporre addirittura un vero e proprio lockdown per porre un freno all'esponenziale accrescersi della crisi,
se Ministro in indirizzo sia a conoscenza dell'aggravarsi dell'emergenza sanitaria e pandemica nella provincia di Cosenza, come dimostrano i dati su contagi, ricoveri e morti da COVID-19 registrati negli ultimi giorni;
quali iniziative urgenti intenda mettere in atto affinché venga predisposto un piano di azione efficace volto ad arginare immediatamente l'acuirsi della crisi sanitaria nel cosentino, nonché al fine di far luce sulle preoccupanti vicende che hanno portato a quella che l'interrogante considera una cattiva gestione dell'emergenza pandemica, che sta mettendo a repentaglio la tutela della salute dei cittadini calabresi.